Salviamo il Made in Italy
Salviamo il Made in Italy
L’Italia, per chi non se ne fosse accorto, è sotto stupro da parecchio tempo! Lo scenario economico nazionale, ormai espropriato in termini finanziari dell’ identità che ne fece un eccellenza in tutto il mondo, vede il bel Paese sotto assedio grazie all’ invasione barbarica di holding straniere che sono riuscite ad accaparrarsi alcuni marchi storici, si pensi alla birra Peroni passata al colosso anglo-sudafricano SabMiller che poi l’ha ceduta ai belgi InBev o a Pininfarina passata agli indiani di Mahindra, perdendo spesso anche i poli produttivi presenti sul territorio. In effetti, in Italia non rimane neanche traccia del beneficio di questi passaggi.
Una vera e propria violenza fisica, perpetrata sulla pelle della produzione nostrana, che colpisce le grandi come le piccole e medie imprese, già moribonde.
Il Made in Italy, una volta era una garanzia di produzione sotto il profilo della raffinatezza tecnico/produttiva, organizzativa e manageriale, oggi rischia di diventare l’ombra di una potenzialità luminosa ma inutilizzata grazie alla svendita di un patrimonio imprenditoriale che ha visto più di 500 marchi italiani passare definitivamente in mano straniera.
Sarebbe opportuno capire da cosa è stato determinato questo scempio.
Dati alla mano, il 2014 ha visto le aziende italiane rappresentare il 12% dei 56 miliardi di Euro di insoluto totale, dovuto al mancato pagamento di rate e bollette. E ad oggi, il 2016 non è da meno stando al calo delle vendite del 7,9% sui mercati exta UE, rispetto all’anno precedente.
La matematica finanziaria non lascia scampo, offrendoci come prospettiva un futuro fatto di aziende che non ce la fanno a sostenersi con le vendite. E il punto è che dove non c’è ripresa, non vi è investimento.
Una logica che non perdona perchè punta esclusivamente sul profitto. Ma è impensabile che il Made in Italy, inteso come famoso marchio di riconoscimento in tutto il mondo, venga affossato o, peggio, svalutato in tal modo. Uno dei più imitati, con falsi d’autore in ogni comparto che lo riguardi, dalla moda al cibo, dal mobile all’abbigliamento. Ciò che dovrebbe rappresentare la spina dorsale della nostra economia, in realtà al momento è quasi relegato a fenomenologia appartenente al passato. Eppure, parlare del Made in Italy vuol dire parlare della nostra tradizione artigianale che opera curando il dettaglio, tanto che il nostro “Made in” è divenuto garanzia di pregio tutelato normativamente.
Oggi, spinti da sano egocentrismo patriottico o coscienzioso altruismo sociale/finanziario, persino personaggi famosi hanno deciso di promuovere e difendere il Made in Italy. Si pensi allo spot elaborato da Silvio Muccino.
Ormai tutti sembrano comprendere che, finchè non vi sarà un cambio radicale di politica economica nel Paese, sempre meno legata alla promozione del territorio, non vi sarà ripresa.
In questo periodo storico, dove il commercio punta alla globalizzazione con nuove tecnologie e scambi sempre più veloci, dimentichi del sapore dell’acquisto di qualità, se le istituzioni interessate non cambieranno rotta, del Made in Italy non rimarra’ che un vago ricordo adagiato sulle macerie delle aziende che non ce l’hanno fatta.
Il Made in Italy deve riappropriarsi del ruolo che merita, diventando la risorsa fondamentale da dare come risposta alla crisi.
La sopravvivenza del Paese è a rischio e non si può continuare con la politica del guadagno punto e basta! Non è soltanto una questione di competizione in termini di prezzo.
Diciamoci la verità, il “fare arte” del proprio prodotto è la risorsa creativa che ha caratterizzato l’Italia da sempre. Come quando negli anni ’80 una nota rivista giapponese sviluppò un inchiesta su alcune piccole ditte del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna. I giapponesi non riuscivano a spiegarsi il grande successo di tali piccole imprese, dai capitali così fragili. La risposta fu che il fattore principale di successo su cui poggiavano queste ditte era insito nelle basi della cultura millenaria che le caratterizzava.
Prezzolini, noto giornalista scrittore, editore e aforista, aveva ragione: “I caratteri della più alta civiltà italiana furono di tipo universale e non nazionale, ossia capaci di soddisfare le aspirazioni umane dei popoli nati nella civiltà greco – latina, non specificatamente italiani. Insomma la civiltà italiana viene considerata tutta quanta dal 1200 al 1800 come un grande rinascimento che ha formato le basi della civiltà d’oggi in tutti i Paesi di cultura europea (…). Per altro, l’Umanesimo rispecchiò la grande capacità degli Italiani (…) di scoperte e di creazioni, di modelli artistici e di verità di conoscenza umana che hanno fatto dell’Italia la super-patria delle nazioni educate nella tradizione greco – latina (…). La fama dell’Italia è oggi grande nel mondo per la seduzione del suo sistema di vita e si deve ai narratori, ai poeti, ai pittori e scultori ed architetti, agli attori, ai cuochi ed ai sarti ”.
Tradotto in termini sinteticamente moderni, magari Silvio Muccino ha ragione quando dice: “italians do it better”!
BAGNALASTA Aurora