Pignoramento su pensioni e stipendi: nessun rischio per le somme inferiori a 672,78 euro
Una rivoluzione quella appena avviata dal Governo in materia di pignoramento. Lo stipendio e la pensione, accreditati in banca, non possono essere più pignorati nella loro interezza. Il Governo ha varato una nuova riforma sul processo civile, stabilendo i nuovi limiti al pignoramento di stipendi e pensioni.
Con l’approvazione del decreto legislativo n. 83/2015, entrato in vigore lo scorso 27 giugno, il Governo ha modificato numerosi articoli del codice di procedura civile e ha introdotto il nuovo articolo n. 545.
Vediamo insieme i cambiamenti sostanziali.
Fino all’entrata in vigore del decreto, il creditore che, per soddisfare il proprio credito, avesse deciso di pignorare lo stipendio o la pensione (con atto notificato direttamente al datore di lavoro o all’ente previdenziale), poteva farlo nei limiti di un quinto (la cosiddetta “cessione del quinto”). Se, invece, avesse deciso di pignorare il conto corrente bancario (notificando l’atto alla banca o alla posta e non al datore di lavoro o all’ente previdenziale), poteva bloccare tutte le somme depositate. Insomma, una volta in banca, pensioni e stipendi erano totalmente pignorabili.
Adesso non è più così: non saranno, infatti, più pignorabili tutte le somme depositate sul conto corrente. Non potranno essere intaccati gli importi inferiori al tetto definito di sussistenza, vale a dire indispensabile per vivere, che corrisponde all’assegno di pensione sociale aumentato della metà. Per l’anno corrente si tratta di 672,78 euro. Di conseguenza, chi percepisce un’indennità minore non può essere pignorato. Quelle superiori, invece, possono essere pignorate per un massimo di 1/5.
Se lo stipendio è stato versato in banca prima del pignoramento, il “prelievo forzoso” può riguardare solo importi eccedenti il triplo dell’assegno sociale. Se l’accredito è contestuale o successivo, la quota massima è di un quinto.
L’Agenzia di Riscossione può rivalersi sul contribuente fino a un massimo di 1/10 di stipendio o pensione (se questi non superano i 2.500 euro). Per importi fino a 5.000 euro, il tetto è di un settimo, e di un quinto per indennità eccedenti questa soglia.
Una boccata di ossigeno per i debitori che si troveranno tutelati entro una certa soglia e una complicazione in più per i creditori per i quali sarà sempre più difficile recuperare i propri crediti.